IL POMPIERE E IL GIORNALISTA

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di Roberto Pedretti

Questa è una storia di tanti anni fa, la storia di un incontro che sarebbe potuto accadere ma non è mai avvenuto. Eppure le vicende che riguardano questi due uomini ci invitano a pensare a quest’incontro come a un fatto concreto, perché tante volte le storie individuali diventano parte di un’unica grande narrazione, di un’unica grandiosa epica che avvicina e accomuna i destini degli individui, anche quando le loro storie personali si svolgono a centinaia di chilometri di distanza l’una dall’altra.

E’ un’estate torrida quella del 1941, le pianure dell’Ucraina sovietica sono arse dal sole che splende alto nel cielo blu. Improvvisamente la quiete dei villaggi contadini e l’animazione delle modeste cittadine commerciali vengono sconvolte da un torrente di acciaio e fuoco che si abbatte come un maglio gigantesco sul paese. E’ iniziata l’invasione tedesca: milioni di persone cercano di fuggire mentre tante altre rimangono intrappolate, e questo è anche il destino di una donna di nome Yekaterina Savelievna. Vasilij, il figlio di Yekaterina, vive a Mosca, lontano dalla madre. Nella capitale mondiale del comunismo esercita la professione di scrittore, un lavoro precario e incerto nell’atmosfera pericolosa e ambigua dello stalinismo, un lavoro le cui fortune sono legate anche agli umori e ai cambi improvvisi del regime. Terrore e speranze, fiducia e ottimismo, paure ed angosce si mescolano, si attirano e si respingono come le molecole di un atomo. L’esperimento va avanti, nonostante tutto, nonostante le purghe, le trame e la brama di potere di molti, l’ottusità burocratica, il servilismo. Vasilij non è iscritto al partito ma rimane comunista, non smette di pensare e credere che l’uomo nuovo è possibile, anche dopo gli orrori materiali e morali che ha visto e che ricorderà incessantemente nelle sue opere.

Vasilij non sa ancora che non rivedrà più sua madre, trucidata dai tedeschi alcuni mesi dopo. L’ombra di questa perdita lo accompagnerà per tutta la vita e la figura della madre tornerà incessante nella sua scrittura. Vasilij non ha il fisico del soldato: ha 35 anni ed è piccolo e grassottello, porta gli occhiali, si affatica facilmente, sembra più vecchio di quello che è. Cerca di arruolarsi senza successo nell’Armata Rossa ma il caso vuole che l’organo ufficiale dell’esercito – Krasnaja Zvezda – sia alla disperata ricerca di corrispondenti di guerra da spedire al fronte per raccontare ai russi affamati di notizie l’andamento dei combattimenti lungo un fronte che si estende per centinaia di chilometri, dal Baltico al Caucaso. Come l’Ucraina anche la parte settentrionale dell’Unione Sovietica viene travolta dalla macchina da guerra tedesca. Le armate corazzate si dirigono verso le frontiere finniche e raggiungono, nel giro di pochi settimane, la periferia della vecchia capitale zarista. Ribattezzata, alla morte del leader della Rivoluzione d’Ottobre con il nome di Leningrado, la splendida città voluta dallo zar Pietro il Grande per stupire il mondo e aprirsi alla modernità, carica di tesori d’arte e costellata di splendidi palazzi lungo il corso della Neva, è destinata a trasformarsi in una trappola mortale per milioni di abitanti. E’ iniziato il più lungo assedio militare della storia moderna. Per novecento giorni, per tre terribili inverni, i cittadini di Leningrado sopporteranno privazioni inaudite per salvare la città. Per una volta gli abitanti benedicono il freddo intenso e il ghiaccio compatto sperando che entrambi resistano a lungo, così da permettere ai rifornimenti di passare lungo le piste tracciate sul lago Ladoga, il cordone ombelicale sottile che tiene in vita la loro città.

Dmitrij ha trentacinque anni, più o meno l’età di Vasilij, e anche lui vorrebbe arruolarsi nell’Armata Rossa. Un problema alla vista impedisce di accogliere la domanda e allora Dimitrij decide di entrare volontario nel corpo dei pompieri. Uno scatto fotografico in bianco e nero lo ritrae in divisa da pompiere e sul volto un paio di occhialini rotondi da miope. Viene assegnato alle squadre preposte a proteggere il Conservatorio della città dall’artiglieria e dagli attacchi aerei, forse perché è un pianista e compositore e conosce bene l’edificio. Durante le giornate passate a presidiare il Conservatorio Dimitrij inizia a concepire l’idea di scrivere una musica che riesca a cogliere la drammaticità del momento storico. Lo sente come un dovere verso le sofferenze e i sacrifici patiti dai suoi concittadini e da tutti i russi.

Anche Vasilij ha uno scopo preciso in mente, non troppo diverso da quello di Dimitrij: vuole che i suoi articoli dal fronte prendano la forma di un coro composto dalle voci che narrano storie individuali, storie di soldati semplici e di graduati, di donne e di uomini provenienti dagli angoli più remoti del paese. All’inizio si sente inadeguato per questo lavoro di corrispondente di guerra, Vasilij è uno scrittore non un giornalista, ma rapidamente inventa un suo stile che lo porta a essere uno dei più apprezzati redattori del giornale dell’Armata Rossa. I soldati gli scrivono lettere, lo riconoscono come uno di loro quando lo vedono condividere le loro stesse paure e fatiche nelle trincee. Le vicende della guerra lo portano a Stalingrado e lì, nella città in cui gli uomini vivranno per mesi come topi intrappolati nella sporcizia, nel fango e nel gelo, scriverà le straordinarie corrispondenze di guerra che lo renderanno famoso in tutta l’Unione Sovietica.

Dimitrij ha deciso di scrivere la sua personale cronaca di guerra, in forma diversa da quella di Vasilij, non con le parole ma con la musica. Ma lo scopo è lo stesso: combattere la barbarie e affermare l’importanza della cultura come strumento possente di resistenza e di crescita collettiva.

Nei primi mesi dell’assedio di Leningrado, tra un allarme aereo e l’altro, Dimitrij inizia a scrivere le prime parti di una sinfonia concepita in quattro movimenti. Non è un’opera paragonabile a quelle che ha già composto: l’obiettivo di Dimitrij è quello di scrivere una cronaca dell’assedio, non una meditazione su qualcosa di distante e lontano nel tempo. E forse è proprio questo che rende la sinfonia imperfetta ma così unica.

Prima di terminare la partitura Dimitrij viene evacuato con la famiglia verso l’est della Russia, in un posto più sicuro dove terminare la stesura della nuova sinfonia. Termina i due ultimi movimenti in pochi mesi e inizia le prove per la prima esecuzione che si terrà nell’estate del 1942. Ma è l’esecuzione nella città assediata a restituire il valore e l’unicità dell’opera di Dimitrij. Nell’agosto del 1942, nella città che muore di fame, un’orchestra composta dai pochi musicisti ancora in vita esegue la Settima sinfonia di Dimitrij Shostakovich destinata a diventare famosa in tutto il mondo con il nome di Sinfonia di Leningrado. Gli orchestrali, vestiti con tanto di farfallino, quasi non riescono a tenere in mano gli strumenti per la debolezza, ma eseguono con passione l’intera lunga partitura che l’intera città ascolta in silenzio dagli altoparlanti nelle strade ingombre dei macerie. Anche alcuni soldati tedeschi attestati nelle periferie di Leningrado ascoltano l’esecuzione e si chiedono se mai potranno sconfiggere una città che riesce a trarre forza di volontà e capacità di resistere dalla musica. E’ una composizione grandiosa, che oscilla tra angoscia e gioia, tragica e disperata, ma anche colorata dalla speranza e dalla volontà di sopravvivenza.

Centinaia di chilometri più a sud, in riva al Volga, Stalingrado rappresenta l’ultimo baluardo per impedire l’invasione del Caucaso. Gli articoli di Vasilij dalle cantine della città, dalla Fabbrica dei Trattori, dalla Centrale Elettrica, dai cumuli di macerie dove si mimetizzano i cecchini dei due eserciti costituiscono una serie di straordinari reportage di guerra tali da collocarlo in quel ristretto numero di scrittori che hanno saputo raccontare la guerra senza rinunciare alla qualità della scrittura.

Aiutato da una memoria prodigiosa, Vasilij non usa prendere appunti, così riesce a mettere a proprio agio i protagonisti delle sue cronache, anche quelli più taciturni e schivi. Passa ore nei nascondigli della città assediata discutendo, ubriacandosi, cantando, raccogliendo confidenze personali e opinioni politiche. Nei taccuini che scrive di notte Vasilijj annota un fatto straordinario, nella normalità e vicinanza della morte si declinano sensibilità nuove che vedono la guerra come uno strumento potente di liberazione e di realizzazione futura. L’utopia della liberazione dell’uomo rinasce sulle macerie e sulle distruzioni prodotte dalla guerra.

Vasilij Grossman è già uno scrittore conosciuto, ma saranno le cronache dal fronte a proiettarlo in una dimensione popolare e a dargli grande notorietà. Ed è proprio questo suo attenersi scrupolosamente al dovere di raccontare la verità – anche la più tremenda, come solo la guerra sa essere – a trasformare le sue parole in un’analisi dettagliata e lucida, profondamente carica di umanesimo, della storia.

Entrambi scampati alle purghe staliniane degli anni Trenta, quando una valigia contenente pochi effetti personali era sempre pronta sull’uscio di casa e l’ambiguità pareva essere la cifra che costituiva le relazioni e i comportamenti tra le persone, Grossman e Shostakovich sopravviveranno anche alla guerra. Continueranno a comporre e scrivere nella complessa realtà dell’Unione Sovietica della destalinizzazione e misureranno l’andamento delle rispettive carriere nel contrapporsi di accelerazioni liberalizzatrici e brusche fermate conservatrici che si alterneranno nel regime sovietico.

Vita e destino di Grossman e Shostakovich si intrecciano senza mai incontrarsi, eppure ci resta la singolarità di due storie che, seppure con modalità differenti, costituiscono un esempio di come gli uomini riescano a non soccombere alla barbarie, da qualsiasi parte essa provenga, anche senza essere eroi.

Vita e Destino è anche il titolo di un romanzo straordinario di Vasilij Grossman uscito postumo negli anni Ottanta, un affresco corale e grandioso del popolo sovietico e della sua storia recente, una sinfonia polifonica in cui compaiono e scompaiono centinaia di vite accomunate dallo stesso destino, un libro che può essere paragonato solo a un altro grande romanzo russo, Guerra e Pace.

Ma questa è un’altra storia.

Dimitrij Shostakovich, Simphony No.7 Leningrad, New York Philharmonic, Leonard Bernstein, Sony, 2010

Vasilij Grossman Uno scrittore in guerra, Adelphi, 2015

Vasilij Grossman Vita e destino, Adelphi, 2008

Soundtrack:
Dimitrij Shostakovich, Simphony No.7 Leningrad, New York Philharmonic, Leonard Bernstein, Sony, 2010
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Text:
Roberto Pedretti