ANGELOS BRATIS

Craftsman of dreams by Valentina Marchioni

Vedere Angelo Bratis all’opera, anche solo nel breve video dall’emblematico titolo “The draper ” (letteralmente “il commerciante di tessuti”) è affascinante. Le sue mani, abili e sicure, accarezzano e scorrono veloci su stoffe e tessuti con sapiente disinvoltura. La sua è una gestualità che incanta. Movimenti decisi che definiscono la bellezza quale frutto dell’abilità dell’uomo di trasformare un pensiero, creato con la mente, in qualcosa di unico, realizzandolo con le mani.

Angelos Bratis, classe 1979, giovane e già affermato stilista di origini greche formatosi nell’ampio respiro europeo è creatore di abiti dalle linee sinuose intrisi di femminilità ed eleganza realizzati con la tecnica del moulage ovvero la lavorazione del tessuto direttamente su manichino. Capi semplici solo all’apparenza, caratterizzati da una raffinata complessità che ne diviene marchio di fabbrica. Così, nell’arco del suo palmo e nel movimento della sua falange sta il segreto del lavoro di questo artigiano di sogni. Bratis è un uomo piacevole e raffinato, ed incontrandolo, scopro anche pragmatico. Le sue risposte alle mie domande sono come i suoi vestiti: accurate ma essenziali. Senza sbavature e merletti.

Non ama perdersi in chiacchiere o infarcire discorsi di concetti astratti. Cresciuto nella sartoria della madre, circondato da donne, Angelos non ha scelto di fare lo stilista. La professione è stata una conseguenza naturale delle sue inclinazioni e del suo talento, accresciuto negli anni e nel tempo confermato da continui successi. Giunto agli onori della cronaca nel 2011, con la vittoria del “Who Is On Next ?” progetto di scouting di talenti della moda organizzato da Altaroma e Vogue Italia, su di Angelos ha puntato l’occhio anche Giorgio Armani, che lo ha voluto ospite del suo Armani/Teatro a Milano per presentare la sua collezione donna Primavera–Estate 2015.

Abilità innate, impossibili da apprendere e che il tempo e lo studio possono solo affinare. Così per Bratis la moda. E’ una questione di sangue, come racconta lui stesso in questa intervista concessa a PopDam…


Nel 2011, il giornalista di Vogue Mark Holgate ti ha definito “Un interessante manipolatore di abiti” Ti riconosci in questa definizione?

Si, Assolutamente, i miei vestiti sono fatti per essere indossati. Lo dico sempre: non sono mai fatti per i giornalisti o per la stampa, sono fatti per le donne che vogliono uscire fuori.

 

Cos’è la femminilità per te e come la rappresenti nei tuoi abiti?

Femminilità come concetto? Non lo so. Non ci ho mai pensato. Io vengo da una famiglia matriarcale dove sono le donne a comandare tutto. A partire da mia nonna. Sono cresciuto tra le donne e le donne per me non sono oggetti sessuali. Io penso alle donne come madri, amanti, sorelle, nonne. Allora non so darti una definizione di femminilità…Per me le donne sono un universo. Tu, per esempio, in questo momento per me sei molto femminile (conduco questa intervista incinta di otto mesi e mezzo). La femminilità è una cosa complessa…

 

E l’eleganza?

Anche questo è un concetto difficile da definire.

Difficile da definire e fluido come i tuoi abiti?

Esatto. Non è in effetti un caso che i miei abiti prendano la forma del corpo della donna e non il contrario. Normalmente tu entri nel vestito. Con i miei abiti invece è il vestito a prendere la forma del corpo.


Qual è l’oggetto più sensuale che una donna possa indossare?

Beh, direi le scarpe. Amo le scarpe alte, ma rigorosamente senza plateau.


Come credi sia cambiato il tuo lavoro con il tempo?

E’ diventato più particolare, ho iniziato con cose molto semplici. A me piace molto lavorare. Io sono molto manuale. Non avendo l’esperienza provavo sempre cose da solo. Lavorando, queste cose sono diventate sempre più complicate. Trovando però la strada dentro il lavoro.


Se dovessi descrivere le tue collezioni in base cronologica – dalla prima all’ultima – quale evoluzione pensi abbia avuto il tuo pensiero…

Guardando le mie collezioni io vedo sempre la stessa cosa evoluta tecnicamente, raffinata e accresciuta nei dettagli, ma se si guardano i vestiti che ho disegnato quando avevo 18 anni, avrebbero potuto anche essere inseriti nella collezione di adesso. In un certo senso ho sempre avuto lo stesso stile. A me piace tanto lavorare con i limiti e mettere limiti a me stesso. Se ho un metro e mezzo di tessuto di questa altezza, è da qui, da questo pezzo che deve arrivare il vestito. Anche perchè se mi lasci libero, come quel capo (indica u n a capo della sua n u o v a collezione, ndr) ha 12 metri di tessuto dentro…e ovviamente avrà un costo molto alto e una tecnica difficile. Uno che è molto tecnico come me ha molta facilità a fare cose difficili per convincere la gente di essere bravo. Però queste cose non mi accontentano. Preferisco le cose più naturali, che non vuol dire semplici, ma più naturali. Capi che diano l’impressione di essere nati da soli… con magari un drappeggio, una cucitura “non scontata”.


Cosa intendi?

Intendo cuciture posizionate in un punto che non è quello che ci si aspetterebbe.. per esempio io non applico cuciture ai fianchi, che è una cosa che molti laboratori fanno. E questa è un po’ la mia magia.. ma già sto dicendo troppo…


Hai iniziato gli studi di moda ad Atene e successivamente ti sei spostato al Fashion Institute Arnhem, di Amsterdam. Due paesi molto diversi, la Grecia e l’Olanda, per storia e attitudini culturali. Cosa ha rappresentato nel tuo percorso professionale la differenza nell’approccio al fashion dei due paesi?

Sicuramente è stata una battaglia. Quando arrivai al “Fashion Institute Arnhem” di Amsterdam ero il primo studente internazionale. La linea seguita dal corpo accademico all’istituto era molto concettuale. Così, appena arrivato mi chiesero quale fosse “il mio concept ”. Io risposi “la bellezza”. E credo sia ancora vero oggi. Non mi interessa creare cose assurde. Io voglio fare cose femminili e belle. E in questo c’è sempre stato un conflitto. La verità però è che io sono una persona molto logica. Anche nei miei abiti c’è una logica e una matematica in virtù della quale non puoi spostare nulla, perché altrimenti cade tutto il discorso. Io uso la tecnica del mulange che ho imparato ad Amsterdam e che ha aperto il mio mondo.


L’esperienza olandese ha quindi permesso alla tua logica di trovare una propria espressione?

Si. E devo anche dire che sono stato molto fortunato perchè Angelique Westerhof, direttrice del Fashion Institute Arnhem è stata anche una mia sorella, madre, amica. Ho disegnato il suo abito da sposa, sono il padrino del suo bambino. Anche se olandese è molto mediterranea. Alla fine c’è sempre qualche donna accanto a me.


Nei tuoi vestiti però c’è un chiaro richiamo all’arte classica e quindi alla Grecia?

E’ vero ma non è voluto. E’ un istinto che diciamo esce fuori spontaneamente ma che in ultima analisi non c’entra. Se infatti vedi la struttura degli abiti capisci che non c’entra niente. Deriva completamente da un altro pensiero. In effetti lo dicono tutti e gli stessi buyer spesso dicono “noi vogliamo vestiti che richiamano la Grecia, che è quello più vicino a te”.


Tu sei cresciuto in una sartoria, questo ti ha permesso di sviluppare un approccio personale al fashion?

Si! Ma non è stata una scelta. Ero molto affascinato dal lavoro di mia madre. Poi ricordo che ero piccolissimo e tutti i suoi clienti chiedevano a me come era un vestito e io rispondevo “no, la vita deve andare più su, dovete mettere le spalle più dentro,… perché non fate un contrasto di fodera,… perché non provate un altro tessuto… ” e loro seguivano sempre i miei consigli.


Cosa ti influenza maggiormente nella creazione delle tue collezioni?

Ogni cosa. Normalmente ad influenzarmi maggiormente sono i sentimenti. Anche per quanto riguarda i colori: sono molto sensibile ai colori quindi quando vedi molto nero nelle mie collezioni non sono molto in forma…


Invece la collezione che hai presentato a Milano all’Armani/Teatro lo scorso settembre è ricca di colori …

Si certo! (sorride, ndr). E questo significa che va tutto bene, oltre ovviamente al fatto che sento l’estate molto più mia dell’inverno.


Essere selezionato da Giorgio Armani è stata una grande responsabilità e un grande stress. Come lo hai gestito?

Beh, lo stress c’è ovviamente e più delle altre volte anche perché tutta la stampa in questo momento è concentrata su chi è lui, cosa fa, però io la prendo come una bella sfida… Ok, ora c’è questa attenzione della stampa, vorrei che queste persone conoscessero chi sono io e cosa faccio. Ho quindi deciso di fare solo abiti corti, lunghi e caftani, e nessun capo spalla, nessun pantalone. Abiti per ogni tipo di corpo. E farlo più concentrato possibile, tagli sbiechi. Anche riproporre, in maniera più complessa e nuova, cose che ho fatto in passato per far capire in chiaro che cos’è Angelos Bratis.

Come è nata la collezione?

Beh, per la collezione estate donna 2015 mi sono ispirato al lavoro dell’artista greco Yannis Moralis (pittore greco tra i più importanti dell’arte greca contemporanea, dopo aver fondato il gruppo Armos nel secondo dopoguerra, si dedicò successivamente a una severa pittura geometrica ispirata al costruttivismo e al Bauhaus, ndr http://www.wikiart.org/en/yiannis-moralis#close), che era della scuola anni ’30. Mi sono ispirato ai lavori che ha fatto per diversi architetti, come per l’Hilton di Atene, alla facciata di marmo tagliato. Moralis nell’ ultima parte della sua carriera era giunto ad uno stile molto minimalista in cui rappresentava posizioni erotiche in modo lineare, Linee dritte e mezze curve. Tutta la mia pallet di colori arriva dai suoi dipinti, agli anni ’40/ ’60 in cui lavorava con colori pastello sporchi.

Hai quindi deciso di giocare “in casa”…

…ma anche di farlo in modo molto concentrato. Tutto è fluido, tutto è in movimento. Tutto è light e le combinazioni di colori sono particolari. C’è tanta geometria, tanta matematica, e si: tanta Grecia… Ho deciso di mettere tutti i miei codici (sono 10 anni che lavoro) dentro questa collezione e farla come un fil rouge…


Quali tessuti hai scelto?

Ho usato tre basi: crêpe de chine, un cady di stretch di seta e un tulle di seta, quello che usa Hermes per i suoi foulard. Ho stampato enormi foulard, 1.70×1.40 con bordi blu in edizione limitata.


E come sempre hai usato tanto Moulage. Ma cosa significa lavorare al Moulage..

Lavorare al Moulage significa darsi tanto ma tanto da fare per scoprire ogni volta cose nuove. E’ una tecnica di lavorazione tale per cui io parto dal tessuto e dal manichino.


Ragioni subito in tridimensionalità?

Si, io lavoro molto come uno scultore.


E questo è sicuramente diverso rispetto al modo di lavorare tipico di uno stilista?

Beh, questo in effetti è più il lavoro di un modellista e di un couturier. L’unico stilista che fa questo lavoro è Azzedine Alaïa e Roland Mouret. Non ce ne sono altri. Galliano poi è il Dio del Moulage

 

Parliamo di ispirazione. A quale celebrità del presente e del passato ti ispiri per la tue collezioni? E chi vorresti fosse tuo testimonial?
Nessuna celebrità attuale direi. Se devo dire una persona – visto che me lo chiedi- mi piacerebbe vestire Melina Mercouri (attrice greca diventata primo ministro della cultura donna nella Grecia degli anni ’70, ndr). Anche se devo dire che le persone famose non mi interessano…

 

Text:
Valentina Marchioni