Il minimalismo che aggredisce la materia

Alice Tamburini: il minimalismo che aggredisce la materia

La moda per Alice Tamburini è sinonimo di ricerca e sperimentazione.
Le sue collezioni sono pièce che “vanno messe in scena”. Il suo linguaggio la materia.
Sono questi gli elementi che descrivono l’identità stilistica di Alice, giovane architetto del paesaggio riminese di nascita ma milanese di azione, che nel 2011 ha dato vita al brand che porta il suo nome e che in meno di quattro anni ha già conquistato un posto di rilievo nel fashion italiano conosciuto nel mondo.
Quello che colpisce subito di questa giovane stilista e mamma di tre bambini è la forte determinazione a seguire il suo progetto di sperimentazione dei materiali. La sua costante ricerca è infatti finalizzata al raggiungimento di un equilibrio tra innovazione ed invenzione della materia che non ecceda però i limiti di una certa semplicità – tale solo all’apparenza- sinonimo di gusto e proporzione. Il suo stile è caratterizzato da una forte identità minimalista che riduce la distanza e annulla i confini, rendendo i suoi capi apprezzati e commercializzati sopratutto all’estero, in quel territorio di sobria eleganza che è incontro di culture ed esperienze. La sua ultima collezione Primavera Estate 2015, dall’evocativo titolo di Naiadi, si snoda nei territori della mitologia classica e la donna di Alice Tamburini diventa una ninfa dell’acqua, benefica nutrice di vegetazione, animali e degli uomini, da questi ultimi adorata per la sua capacità di generare vita e garantire prosperità. A dar vita a questa divinità sono sopratutto le sovrapposizioni di organze e le stampe plastiche. La ninfa di Alice Tamburini è sì una creatura eterea e delicata ma è anche una donna molto contemporanea. Le linee morbide degli abiti e la sovrapposizione di colori netti e tenui così come di tessuti sintetici e naturali restituiscono allo sguardo una donna in equilibrio tra eleganza classica e futuro, confermando in un certo senso la regola dello stile dettata da Coco Chanel secondo cui “la moda è architettura: è tutta questione di proporzioni”. Con lei parliamo di moda, architettura, avanguardie e ovviamente del suo brand…

Da sempre la moda ha tratto spunto dalle avanguardie dell’architettura per la realizzazione dei propri capi. Ora però sempre più spesso sono gli architetti a passare dalla progettazione di spazi alla creazione di moda? Perché?

Beh, io rispondo per me. Per gli altri ci penseranno loro. Personalmente coltivo la passione per i tessuti da tempo. Vengo dal mondo familiare della sartoria (una cugina del padre era titolare di una sartoria di abiti da sposa, ndr) e del ricamo. Ho di mio una passione per i materiali, mi piacciono quelli alternativi, riciclati, insomma inusuali. Sono affascinata dall’idea di poter plasmare la forma attraverso il materiale.Per quanto riguarda il discorso dell’incursione nella moda… a me interessava capire come funziona l’abito. Ciò che trovo interessante nella produzione del “prodotto abito” rispetto all’architettura è la sua dinamicità e la possibilità di poter essere io a gestire tutte le fasi del progetto: dall’idea, alla creazione, al disegno, passando dal modello e arrivando alla produzione. Ecco questa è una cosa che a me piace tantissimo.Evito di parlare della situazione della cultura in Italia adesso perché se c’è bisogno di un ambiente dinamico ecco, non è il luogo adatto per poter lavorare.Quindi, tornando alla domanda, per quanto mi riguarda sicuramente un forte ruolo lo ha giocato la passione per le forme pure e la volontà di apprendere il percorso per arrivare alla forma attraverso i materiali.

A proposito di materiali… Le tue collezioni sono caratterizzate da quella che tu definisci “aggressione della materia”. Quale significato associ a questo concetto?

Aggressione della materia è un concetto che esprime quello che faccio. Ad esempio, nel corpino corazza, quello coi nodi -per il quale ci vogliono due giornate di lavoro- un materiale così impalpabile ed etereo come l’organza viene annodata, ritorta e usata come ricamo fin da sembrare una corazza. Quindi dalla leggerezza dell’organza si arriva ad un risultato decisamente diverso. Così pure nelle gonne, per le quali utilizzo un materiale classico come la seta arricchito da altro tessuto che contiene un filo di poliestere riciclato che viene applicato con un pressa sopra la seta.Nei miei capi i tessuti non sono mai lasciati come sono ma vengono molto lavorati, quasi aggrediti appunto da cui l’espressione “aggressione della materia”.

Oltre ai materiali, il mondo della moda è ricco di avanguardie di varie discipline che salgono in passerella. Quale influenza pensi abbiano sulla realizzazione di un capo “incursioni” di questo tipo?

Secondo me la moda prende dall’architettura e dall’arte quello che le piace e che può funzionare. Penso alla collezione Mondrian di Yves Saint Laurent, colori primari messi su tubino. Una cosa che in quel momento aveva un determinato significato. A seconda quindi del messaggio che si vuole dare con una collezione, ci si ispira a qualcosa di già realizzato, un manufatto diverso, con cui ci si sente in empatia. Io ad esempio trovo empatia con i materiali. Per cui per me la trasparenza dell’organza, richiama vetro e acqua… Molte idee mi sono state ispirate dalle architetture di Gaudì, dal lavoro di Burri a Gibellina, la città ricostruita da un cretto. Ecco, l’utilizzo di questo concetto come superficie per me è fondamentale nell’approccio al materiale che viene trasformato e reso qualcosa di plastico come un’evoluzione del materiale stesso.

Parliamo del tuo brand. Come nasce?

Il brand Alice Tamburini nasce dall’esigenza di mettere insieme l’esperienza e la volontà di sperimentare l’uso di materiali. Nel mio lavoro, ricerco aziende non convenzionali, alcune ad esempio lavorano con materiali plastici, e che abbiano in pratica già una loro trama che racconti una storia.

Così come accade per le tue collezioni, in merito alle quali hai detto che “vanno messe in scena”. Penso a Materica, che ha preso vita in un ambiente molto suggestivo. Per quale motivo è così importante l’ambientazione di una collezione?

Ciò che mi porta a pensare ad una collezione è una sensazione. Tante volte l’ispirazione per una collezione, cioè su quali materiali, stampe e modelli utilizzare, mi è venuta da un luogo che ho visto ed in cui sono stata. Una vetrata, un muro scrostato… Quindi per me è importante riportare quello che ho visto e tradurlo nel mio linguaggio. E’ un pò come chiudere un cerchio…

Come se i tuoi capi dialogassero con il contesto in cui li presenti in una sorta di continuum…

Assolutamente si..e nel caso di Materica il dialogo avviene per contrasti. Perché in quell’ambiente disabitato e completamente distrutto, seppur con un vago ricordo di fasti, era evidente il contrasto con l’impalpabilità della collezione.

Il tuo brand è molto giovane…

…Si, anche se l’intero progetto si sta sviluppando piano. Io non ho ancora una struttura articolata Diciamo che è ancora tutto molto in fieri.

Si, però seppur giovane il tuo brand è già caratterizzato da una forte identità. Quale tratto pensi renda riconoscibili i tuoi capi?

Forse il senso di costruzione, di volume, forma…. ma anche il lavoro sui materiali.Materiali annodati, stampe, materiali plastici…

Il tuo stile è molto apprezzato anche all’estero. Dalla Cina alla Russia… Come riesci a immaginare capi che vestano donne di culture così diverse tra loro?

Io credo che un certo tipo di -passami il termine- minimalismo e di forme, che sono sì classiche ma con qualcosa di moderno,         come ad esempio una gonna ampia corta e con la vita segnata, siano qualcosa di abbastanza trasversale, che possano adattarsi a diversi tipi di donne. Prendiamo le donne orientali ad esempio. Quasi sempre non hanno gambe lunghissime ma hanno vita stretta e quindi può funzionare. Amano la trasparenza dell’organza, ma non deve essere trasparente veramente… quindi.Chiaro che ogni mercato poi viene curato per le esigenze specifiche… Magari le orientali hanno questa esigenza mentre le donne in Russia ne hanno altre. Diciamo che è una struttura che bisogna costruire piano piano…

Rimanendo nell’ambito internazionale quale ruolo riveste il viaggiare nella tua professione?

No.. con tre figli viaggio molto meno di quello che dovrei.. Mi avvalgo di collaboratori che fanno quello che dovrei fare io. Ora aspetto che cresca l’ultimo che ha un anno e mezzo e poi ricomincio a viaggiare. Ho iniziato la mia prima collezione che ero in gravidanza…incinta del terzo figlio. Lui è nato ad aprile ed io sono uscita con il campionario il mese successivo…

Come molti tuoi colleghi oggi, anche tu hai scelto di non avere un “logo” visibile sui tuoi capi. Come mai questa scelta?

Sarebbe stato uno sforzo di immaginazione che in quel momento non mi sembrava così necessario. Magari arriverà ma per ora va bene così. Forse sarò troppo minimalista..

Nella creazione dei tuoi modelli usi più software di progettazione o vai di cartamodello e manichino?

Sicuramente la tecnologia porta delle novità e sicuramente la produzione ci ha guadagnato. Io rimango molto fedele al mondo della sartoria, poi dipende dal prodotto. Io prima lavoro col manichino e disegno dopo. E’ un procedimento che ha bisogno del disegno e delle tecnologie solo alla fine, per mettere un pò di ordine e mettere nero su bianco quello che sarà ma non influisce sul percorso in nessun modo.

Un modus operandi più tipico di uno stilista che di un architetto.

Si, lo so ma è un questione di carattere. A me piace lavorare così. Me lo posso permettere e lo faccio. Magari non so, tra cinque anni mi accorgerò che è tempo di cambiare. Però per ora trovo non sia corretto togliere alla parte creativa questa emozione. Per adesso sono felice di lavorare così…

Qual è il tuo rapporto con gli stilisti “puri”, i couturier, con quelli cioè che lavorano su cartamodello o che utilizzano la tecnica del moulage?

Tanto rispetto. Penso che si possa parlare di arte in alcuni casi. E trovo un pò troppa ignoranza in questo senso… alcune cose bisogna conoscerle e contestualizzarle nel momento in cui sono avvenute per la rivoluzione che hanno portato. Faccio un esempio. Pensiamo al rapporto che aveva Elsa Schiapparelli con il mondo degli artisti, con Dalì e secondo me sono quindi la base, come la storia dell’arte. L’amore per queste cose spero di trasferirlo in quello che faccio…

Con una sartoria in casa perché hai scelto la facoltà di architettura invece di dedicarti fin da subito al mondo della moda?

Beh, in realtà la sartoria non era proprio in casa, cioè apparteneva ad una cugina di mio padre che aveva una sartoria di abiti da sposa e poi in realtà non lo ho mai preso in considerazione come professione. Mi è sempre piaciuto ricamare, cucire e fare delle cose …

E quindi quale molla ti ha convinta a buttarti in questo intricato mondo?

Sicuramente una grande parte l’ha giocata Milano. Io abito a Milano da sei anni e Milano è generatore di moda. Vivere in questa realtà produttiva e professionale aiuta a capire che la moda può essere una strada. Io ho iniziato alla fine del 2011 e devo dire che sono stata incoraggiata e spinta. Ho fatto una scuola, ho vinto un concorso interno e poi ho incontrato un commerciale puro che mi ha detto, quando io ero incinta di otto mesi, partiamo. E siamo partiti.

E ora a che punto sei?

Come dicevo prima, è tutto ancora in fieri ma ci sono interessanti progetti e novità in cantiere.Una bella novità in particolare è che a breve i miei capi saranno presenti anche a Milano nello store di Mauro Grifoni

 

Photographer:
Roberto Baruffi
Text:
Valentina Marchiori