Con le mie suggestioni neo-gothic rock ho conquistato Londra

Intervista a Manuel Facchini

Per uno che la moda la respira da sempre tra le mura di casa, essere titolare di un marchio significa «poter esprimere senza condizionamenti la propria personalità ed essere libero di spingersi fino alle estreme conseguenze della creatività». Una scommessa certo non facile e certo non scontata nel competitivo mondo del fashion e dei buyers internazionali che non premia i nomi ma le idee dietro le collezioni. Un’ambizione importante quella di Manuel Facchini, creative designer e fondatore dell’omonimo marchio. Che lui affronta ogni giorno mettendo in campo idee, determinazione e una sana voglia di indipendenza che, nelle sue parole è «quella forza di tracciare la mia strada senza avere dei vincoli esterni per esprimere la mia visione, non solo quella stilistica e creativa ma anche in altre variabili».
La sua moda ha conquistato i mercati internazionali e Londra che, come per il suo esordio nel 2015, ospiterà la sua collezione primavera- estate 2017 nella prestigiosa location dell’ICA Institute of Contemporary Art. A convincere, anche il British Fashion Council, l’ininterrotto lavoro di ricerca e la determinazione della maison italiana a voler raggiungere stagione dopo stagione obiettivi ambiziosi. E anche quella voglia di rischiare, quel coraggio di mettersi sempre in discussione che, secondo Facchini un po’ manca alla moda italiana di oggi, spesso bloccata dalla paura nei mercati, perché 
 «la creatività deve fare i conti con il mercato e non può prescindere da esso, è l’economia che lo chiede perché la moda non può essere solo un esercizio di stile ma deve vendere.» La soluzione? «Recuperare l’heritage della moda, la sua essenza ma “sporcata” dalla contemporaneità in cui viviamo». Questi gli ingredienti per creare una creatività “intelligente” che non prescinde dalle origini, ma le plasma a suo uso e consumo come voglio fare io con la mia linea e riesce, al contempo, ad essere appetibile per il mercato. Popdam lo ha incontrato per parlare di moda, ma anche architettura, arte e contaminazioni.

L’estetica delle sue collezioni (quella del brand che porta il suo nome) viene descritta come “neo-gotica”. Trova che questa definizione sia coerente con le sue intenzioni?

Assolutamente. La mia è una moda con riferimenti architettonici in una estetica neo-gotica, con tecniche di taglio e tessuti che portano a ripensare il corpo in una visione del tutto contemporanea. Il gotico, inteso come rigore, si contrappone alla leggerezza super femminile e vive e si rinnova con geometrie e grafismi in 3D al limite dell’high tech e dell’architettura. Inoltre il fil rouge dell’estetica delle mie collezioni è costituito dalle atmosfere rock e gotiche rintracciabili nelle stampe e nei motivi grafici intensi e originali che costituiscono una delle mie grandi passioni e che si declinano in tutti i miei capi.

In merito alla collezione FW 16/17, da dove è venuta l’idea di conciliare la complessa delicatezza scultorea di Richard Sweeney il cui lavoro parte soventemente da un righello, un taglierino e da semplici pieghe su fogli di carta con il lavoro algoritmico e ultra tecnologico di Hansmeyer?

Contrapposizione e sincretismo sono i due poli che riassumono, da sempre, la mia cifra stilistica: partire da elementi apparentemente contrastanti e inconciliabili e fonderli in un unicum è il punto di partenza di ogni mia ispirazione. Contaminazione è la parola chiave che, grazie a rivisitazioni concettuali e grafiche, realizza la magia. A monte ci sono la voglia di sperimentare e il desiderio di misurarsi con mondi nuovi, radicati da sempre nel mio approccio e che appartengono al mio dna.

Quali caratteristiche del lavoro dei due artisti ha inserito all’interno della sua collezione?

La forza dell’arte che si unisce e si contamina nell’architettura: questa la sintesiCon la mia collezione ho voluto scomporre e armonizzare i contrasti unendo l’ars scultorea cinetica, 3D e flessuosa di Richard Sweeney alle architetture gotiche e algoritmiche di Michael Hansmeyer, all’insegna di un arty-gianato spaziale.

Restiamo nella collezione FW 16/17, tagli e tessuti realizzati descrivono linee sinuose, estremamente femminili ma allo stesso tempo dotate di un rigore e di una disciplina che richiama un certo gusto militare… Sbaglio? Per che tipo di donna ha creato questi capi?

Meglio neogotico! La mia donna è sempre capace di riassumere il mio stile, fatto di sperimentazione, di conciliazione degli opposti e di una visione sincretica della realtà. Il tutto con uno stile innovativo e pratico, riletto da un lessico sperimentale. Le mie collezioni sono dedicate a una donna contemporanea, dall’attitudine giovane, dal carattere deciso e brillante; una donna cosmopolita, esigente e sempre aperta a nuovi stimoli culturali ed estetici che vuole vedere tradotto tutto ciò in collezioni femminili ricercate e raffinate. 

Che senso ha la parola “contrapposizioni” all’interno della sua ultima collezione? Rigidità e morbidezza sono due opposti complementari… In fin dei conti non è forse vero che proprio dalle pieghe di una superficie liscia si creano forme inaspettate?

Tutto nasce dalla contrapposizione e da un gioco di contrasti che, portando all’estremo i caratteri apparentemente opposti delle ispirazioni, riesce a riassumerli in temi quasi agli antipodi. Tutto e il contrario di tutto: le differenze si annullano e si trovano nel punto massimo di contrasto dove la contaminazione e la fusione tra universi apparentemente lontani si uniscono in un gioco di contrapposizione per diventare stile.

Le sue sfilate sembrano dei fashionlab, (un neologismo da me appena coniato sulla scorta dei più noti fab lab) ovvero dei laboratori di moda artigianal-digitale. Qual è la sua idea di innovazione applicata alla moda?

La mia linea è capace di riassumere la mia cifra stilistica fatta di sperimentazione, di  conciliazione degli opposti e di una visione sincretica della realtà con uno stile innovativo e pratico, riletto da un lessico sperimentale. Uno stile da giocare senza limiti come si conviene all’arte, proprio perché penso che la moda sia arte e che debba rispettare solo le sue regole e innovarsi continuamente.

Hansmeyer sostiene che, con l’uso delle nuove tecnologie in futuro non sarà più necessario (per un architetto) progettare l’oggetto, ma il suo lavoro sarà concentrato sul processo che lo genera. Pensa che una cosa simile sarà possibile anche nel mondo della moda (semper attraverso l’uso delle tecnologie)?

In realtà è già cosi. La tecnologia rappresenta una parte fondamentale del processo creativo. Lo schizzo è solo l’idea, non nasce più solo dall’istinto creativo ma è il frutto di una tecnologia studiata, segue le stesse dinamiche di un architetto industriale che mette insieme un progetto.

Quali sono le lezioni più importanti che ha imparato dai suoi studi (al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra) e dalla sua esperienza professionale precedente?

La cosa più importante che mi hanno insegnato al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, dove ho studiato moda, è stata quanto sia fondamentale assumersi la responsabilità di quello che si pensa, di quello che si crea e di quello che si è. Ricordo poi la forza innovativa di Londra e la sua energia, con una realtà molto affine a me: è una città cosmopolita, fa dell’innovazione e del meltin’ pot tra culture diverse, la propria direttrice di crescita. La St Martins è stata la scuola dei designer visionari, da sempre mio riferimento, quali John Galliano e Alexander McQueen, che hanno cambiato la storia della moda, e studiare in quell’Istituto prestigioso per me equivaleva – ed equivale- a interiorizzare e a rendere concreta la stessa ispirazione che ha mosso anche loro. A questo aggiungo il valore del made in Italy che ho appreso nella mia esperienza, che significa coniugare la creatività che deriva dall’ esperienza e dalla crescita culturale e professionale con un’ artigianalità tipicamente italiana,  in cui noi siamo maestri.

 

Text by Valentina Maria Marchioni

Text:
Valentina Maria Marchioni