Incredibly Close

Intervista alla fotografa di Mariateresa Cerretelli

Ph. Maddalena Arcelloni

 

Maddalena Arcelloni, fotografa di moda che si divide tra Milano e New York, si trova negli Stati Uniti quando scattano le misure di confinamento per l’emergenza Covid-19. Più precisamente nel Maine, a condividere, fortuitamente e forzatamente, un appartamento con un uomo sconosciuto. E, in questi mesi di pausa forzata, scatta l’iniziativa di creare una documentazione fotografica dove il modello è soggetto e oggetto di ricerca, esplorato nella sua fragilità corporea senza sconti. La sua prospettiva iperrealistica tradotta in una serie di immagini dal titolo Incredibly Close a cura di Giusi Affronti sarà esposta, dal 24 settembre al 20 novembre, nello spazio Other Size Gallery di Milano e rientra nel programma espositivo di Photofestival, rassegna internazionale di fotografia che si tiene a Milano dal 7 settembre al 15 novembre 2020.

Qual è il profondo significato di questo progetto per Maddalena ArcelloniEcco come lo racconta l’autrice

La serie è nata in modo molto spontaneo da una convivenza “forzata” e dalla necessità di isolamento causate dal Covid. Verso fine marzo, due o tre settimane dopo esserci conosciuti a New York, Micah, il modell”, mi ha proposto di accompagnarlo nel Maine, nella casa di vacanza della sua famiglia, per evitare di restare bloccati nella città durante l’esplosione della pandemia. Dopo qualche giorno, anche per ragioni personali che mi rendevano impossibile rimanere nel mio appartamento a New York, ho accettato di seguirlo. Da fine marzo fino alla mia partenza per l’Italia (il 28 luglio) ci siamo trovati a condividere tempo e spazio, mantenendo un quasi totale isolamento dal resto del mondo, per evitare di esporci al virus.

Fortunatamente in modo molto spontaneo e senza attriti, abbiamo convissuto per questi quattro mesi a stretto contatto, inseparabili. Questo ci ha permesso di avvicinarci emotivamente e di conoscerci meglio. La serie di foto Incredibly Close nasce come documentazione di questo avvicinamento emotivo e fisico, e della progressiva scoperta di una persona a me quasi sconosciuta. Micah non è un modello di professione e la serie non nasce da una visione della persona nel ruolo di modello, piuttosto come un naturale sviluppo dalle circostanze in cui ci siamo trovati e come forma di esplorazione dell’altro”.    

Il modello è un uomo ma diventa un luogo da esplorare con estrema determinazione in tutta la sua fragilità corporea, senza sconti. Perché questo espressionismo dichiarato?

“In questo progetto personale, qualsiasi abbellimento o sconto mi sarebbe parso forzato e innaturale. Personalmente tendo ad apprezzare il corpo dell’altro per ciò che è e non per ciò che potrebbe essere. Pertanto l’assenza di filtri nelle immagini rispecchia molto la mia ricerca di segni e caratteristiche del corpo che lo rendono per me unico ed interessante. Non sono una fanatica della perfezione assoluta del corpo. Anche in altri lavori – inclusi alcuni servizi di moda – ricerco la bellezza nelle imperfezioni, nelle unicità di quel singolo corpo e cerco di tradurle in immagini. In questa serie specificamente, ho voluto rintracciare i segni e le cicatrici che parlano del vissuto di Micah. Le tracce delle sue cadute passate, le cicatrici, i segni lasciati sul corpo dalle lenzuola, i dettagli quasi viscerali, il sudore. Credo si possa definire come una mappatura del suo vissuto e del suo essere, che si è evoluta di pari passo con l’approfondimento di un legame con lui. L’espressionismo nelle immagini, quindi, è per me una necessità per questa esplorazione, più che una scelta estetica calcolata”.

La bocca, la lingua, la palpebra, l’ombelico, le articolazioni: alcuni particolari sono fotografati secondo una prospettiva iperrealistica. Nella presentazione del suo progetto si legge: “…pur affondando letteralmente lo sguardo nel corpo, gli scatti di Maddalena restituiscono un’estetica eterea, rischiarata da una luce diafana che rende la carne impalpabile e la trasforma in materia spirituale”. Mi può spiegare meglio questo concetto? 

“Credo che il senso della frase insista sul cortocircuito – che anima l’intero progetto – tra un’indagine del corpo lenticolare, fatta di close-up, di dettagli restituiti con minuzia e con una freddezza quasi da tavolo chirurgico, e una rappresentazione complessiva e finale eterea, che si manifesta attraverso immagini quasi astratte. Che pur “disegnando” le imprecisioni della carne, elevano il corpo a strumento di significati altri. Indagarne la materialità per arrivare a conoscere l’essenza della relazione e dell’Altro”.

La pandemia ha chiuso i battenti del sistema moda ufficiale e anche i parametri su cui si basava?  

“Spero di no! Tutto sommato, la fotografia di moda è il mio lavoro e continua ad essere uno dei miei interessi principali. Non credo che il sistema moda ufficiale possa chiudere i battenti. Potranno esserci cambiamenti nelle modalità in cui i servizi saranno scattati per via della pandemia, ma sono convinta che l’industria della moda non si fermerà. Per quanto riguarda i parametri, esteticamente erano già visibili dei cambiamenti, ma non legati o derivanti dalla pandemia. Trovo che, in generale, l’estetica nell’ambito della moda, stia evolvendo verso un approccio più naturale e meno costruito. Nei lavori di tanti fotografi contemporanei si può vedere un abbandono dell’artificialità e della ricerca di una perfezione assoluta. Si sta lasciando finalmente spazio a tipi di bellezze alternativi e più realistici, che permettono a chi osserva di identificarcisi più facilmente”.

Si può considerare la sua fotografia di questo progetto un nuovo modo di intendere la bellezza del corpo?

“Non so se si possa definire “nuovo”, ma sicuramente fedele al modo in cui personalmente intendo il concetto di bellezza. È sempre difficile immortalare fotograficamente una persona nella sua interezza ed allo stesso tempo coglierne ogni sfumatura che la rende unica e bella ai nostri occhi.

Nella mia fotografia, traduco in immagini ciò su cui i miei occhi in modo naturale si soffermano, ciò che mi incuriosisce e che rende l’altra persona un universo a sé stante, sia esso un gesto o un particolare dettaglio. La perfezione assoluta è per me assenza di singolarità e individualità e la trovo poco stimolante. Non condanno chi apprezza un corpo perfetto dalle proporzioni perfette – ma mi chiedo anche chi abbia il diritto di definire in modo categorico e scientifico questi parametri di perfezione. Solitamente fotografo donne (più che uomini) ma l’approccio per me è lo stesso. Recentemente, per curiosità, ho cercato online la definizione di misure donna”. I primi risultati indicano immediatamente che le misure da donna normali sono un busto da 90 cm., 60 cm. di vita e 90 cm. ai fianchi, la cosiddetta figura a clessidra. Il fatto che il termine normale sia legato a misure cosi specifiche lascia riflettere. Come categorizzare tutto ciò che non rientra in tali parametri? Ma soprattutto, perché categorizzare e definire specifici standard? Quando si guarda una persona, uomo o donna che sia, la loro bellezza non è direttamente collegata alla circonferenza del busto o della vita o dei fianchi. Purtroppo il fatto che per lungo tempo queste misure puramente fisiche siano state (e sono, tutt’ora) il mezzo per definire un paradigma assoluto di bellezza ha contribuito alla calcificazione di ideali culturali che continuano ad influenzare il modo in cui una persona si relaziona al proprio corpo, e che si riflettono sul modo in cui la società possa percepirla e trattarla. Così, nel mio lavoro, cerco di fotografare persone che non necessariamente rientrano in tali parametri ma che, attraverso la loro sicurezza, personalità e diversi tipi di corpo, trasmettono quello che credo sia il vero significato di bellezza. Che per me resta unico, individuale ed inscindibile dalla singola persona”.

Ci sono fotografi a cui si è ispirata per questo lavoro?

“In passato, anche in servizi di moda, ho incluso scatti ravvicinati di dettagli del corpo. È diventato istintivo per me includere alcuni di questi dettagli in quasi ogni servizio che scatto. La maggior parte dei miei lavori personali si concentra sul corpo e sui particolari dello stesso. Questa serie in modo specifico è sicuramente più viscerale di ogni altra perché nasce da circostanze prolungate nel tempo, a differenza di altri miei lavori personali, in cui la serie è scattata nell’arco di qualche ora o giorno e con soggetti con i quali non sempre ho un forte legame personale ed emotivo.

È anche la prima serie “completa” di scatti del corpo in cui il soggetto è un uomo. E la vicinanza a questa persona su diversi piani (emotivo, fisico, affettivo) si riflette maggiormente nella veracità di queste immagini, più che in quelle di altre serie scattate in passato. Credo che la differenza – che si traduce anche nell’estetica generale delle fotografie di questo progetto rispetto ai precedenti – sia dovuta proprio a tale prossimità e allo stato quasi simbiotico in cui Micah e io ci siamo trovati in questi quattro mesi di isolamento. Non mi sono consciamente ispirata a particolari fotografi per questa serie; essendo per me talmente personale ed intima non ho effettuato ricerche per l’ispirazione e mi sono lasciata guidare dall’istinto”.

 

Photographer:
Maddalena Arcelloni
Model:
Micah
Location:
Other Size Gallery di Milano
Special thanks to:
Giusi Affronti, Curator
Interview by:
Mariateresa Cerretelli