old food

ED ATKINS text Mariateresa Cerretelli

Per uno dei più autorevoli curatori del mondo, lo svizzero Hans-Ulrich Obrist, Ed Atkins è uno dei più grandi artisti della nostra epoca. E Carolyn Christov-Bakargiev, co-curatrice con Marianna Vecellio della prima personale dell’artista in Italia nel 2016 al Castello di Rivoli e alla Fondazione Sandretto Rebaudengo lo ha definito “un monaco dell’era digitale, che salvaguarda alcune storie e traiettorie intellettuali che hanno a che vedere con la libertà che si può avere rispetto alla tecnologia dominante del momento in cui si vive”. E, nella stessa occasione, in un’intervista della giornalista Giovanna Repetto, Marianna Vecellio che segue il lavoro della nuova stella dell’arte, mette in piena luce il suo senso della ricerca: “Ed Atkins compie una riflessioneda dentro il mezzo digitale. Quando ho iniziato a lavorare su Atkins facevo un errore e cioè osservavo la realtà presente nei suoi video dall’esterno. Mi ponevo di fronte. Lui, al contrario, nato nel 1982, non distingue nella realtà il contributo della tecnologia, il suo lavoro infatti non è una critica al digitale; egli compie una riflessione esistenziale mettendo in scena l’ambivalenza di cosa significhi vivere oggi in una realtà già ampiamente ibridata. Una metafora che lui usa per parlare dei suoi surrogati è fossile estatico. Mi fa venire in mente un corpo che è ridotto a traccia, prosciugato della sua essenza vitale di cui rimane solo il calco. La cosa interessante però è che questo fossile ha ancora desiderio di rimanere incantato. I suoi video raccontano questa esperienza: narrano la realtà, della quale ci dà prove continue di esistenza vera, mostrandoci l’acqua, la polvere, le tracce sottili che si vanno a depositare sulla superficie della cinepresa (falsa!); ci mostra uomini, dai capelli sinuosi, che cantano in cerca di empatia o recitano poesie maledettamente malinconiche, per poi ricordarci che in quanto ibride queste alterità non sono in grado di provare tutto quello che ci hanno appena detto che sentono.
La complessità del suo racconto parte anche dal fatto che mette in discussione l’immaterialità stessa del digitale ricordandoci che esso è fisico, ci ricorda che dietro al digitale c’è il lavoro, c’è l’elettricità, e ci sono le persone. Noi pensiamo che sia immateriale, ma in realtà è molto materiale. Quindi cresce questa ambivalenza e questa dicotomia tra reale e virtuale diventa più complicata”. Ed Atkins, inglese, nato a Oxford nel 1982, vive e lavora a Berlino. Esplora l’immanenza della contemporaneità, il rapporto tra corpo e tecnologia e per farlo utilizza strumenti come l’animazione, la performance, la scrittura o la musica. Crea avatar che danno voce alle malattie, alla frustrazione, al mal di vivere attraverso video-installazioni da shock. Le sue opere incutono inquietudine e impatto emotivo di fronte a una realtà alla deriva senza alcun spiraglio di salvezza. Per la prima volta con la sua visione artistica ansiogena, intinta nel macabro nel 2016 approda al Castello di Rivoli e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. E, in
Safe Controlper citare un tra i suoi lavori più noti, installazioni e fotografia traducono lo stress e la vana speranza di fronte a una realtà rassicurante solo nell’apparenza. In ambienti asettici come gli aeroporti, i carrelli per i controlli di sicurezza o i nastri trasportatori dei bagagli diventano una raccolta di ossa, sangue, fegati, grovigli di viscere o pistole in primo piano. L’artista inglese ha risposto a chi gli chiedeva cosa significa per lui essere un artista: “Per me significa potersi permettere una prospettiva sul mondo davvero speciale. Avere la possibilità di continuare un tipo di relazione con tutto, che è un non sapere, un’esplorazione”. Arte quindi come spazio di sperimentazione e oggi le sue inquietanti installazioni, realizzate in computer grafica, sono esposte nei maggiori musei del mondo. Nella sua esposizione all’Arsenale e ai Giardini durante l’Ultima Biennale dell’Arte, l’edizione del 2019 Atkins compie ogni tipo di circonvoluzione nell’ambito dell’autoritratto. Scrive profezie tanto intime ed ellittiche da risultare scomode, disegna caricature orribili e crea video digitali realistici in cui spesso compaiono figure maschili in preda a incomprensibili crisi psichiche. All’Arsenale l’installazione Old Food(2017-2019) dove l’artista ricrea panorami bucolici per ambientare scenari di continua distruzione, è carica di storicità, malinconia e stupidità; con quest’opera, Atkins allarga il proprio territorio emotivo, mitigando la commovente rappresentazione autobiografica grazie a citazioni e questioni di più ampio respiro. I disegni che compongono Bloom(numerati da uno a dieci ed esposti al Padiglione Centrale) raffigurano invece tarantole che scendono da mani esitanti o sono appoggiate su un piede in posa; al posto dell’addome, presentano la testa rimpicciolita di Ed Atkins che, avvolta da peli di ragno, infrange la quarta parete e ci fissa. Per il creatore di personaggi che stanno a metà tra umano e disumano, rappresentazioni indefinite tra l’artificialità grottesca e realismo disperato, con il senso di perdita e di melanconia in primo piano, scrittura e video vanno di pari passo: “l’arte è l’unico posto in cui posso pensare di mettere insieme tante cose diverse e farlo da solo nella mia stanza: scrivere, performare, comporre musica e fare video. Costruire un’animazione per me non è tanto diverso dal costruire una frase, oppure una narrazione”.

Artist:
Ed Atkins
Text:
Mariateresa Cerretelli
Press Office:
Biennale di Venezia 2019